Anche adesso, riunirsi in più persone all’interno di una stanza è complicato perché è necessario rispettare rigorose norme igieniche e di distanziamento sociale.
Ciò sta creando considerevoli problemi nella vita quotidiana dei condominii: non si approvano più i bilanci, non si deliberano più i lavori ordinari o straordinari, non si nomina più l’amministratore.
Da più parti, quindi, si invoca la possibilità di ovviare al problema svolgendo le assemblee condominiali non di persona, ma in videoconferenza: è possibile. Partiamo da un dato certo: anche se in in questi mesi di pandemia sono stati emanati testi legislativi e sublegislativi di centinaia e centinaia di pagine, nemmeno una parola è stata destinata al condominio. Quindi non ci sono regole emergenziali da applicare: solo il diritto ordinario può fornire una risposta alla nostra domanda.
E’ bene essere chiari sin dall’inizio: una risposta sicura e univoca non c’è perché non ci sono precedenti, non si possono analizzare la sentenze dei giudici e anche gli studiosi stanno iniziando solo ora ad affrontare il problema. Ci sono, però, alcuni elementi che meritano di essere analizzati e discussi.
In primo luogo si pone una questione quasi filosofica: da sempre il concetto di “assemblea” implica, in sé e per sé, la compresenza di più persone nello stesso luogo. Anche sotto il profilo costituzionale l’assemblea ricade nella sfera di tutela fornita dall’articolo 17 in materia di libertà di riunione, mentre una videoconferenza (come anche una telefonata e come ogni altra comunicazione a distanza) rientra nella tutela della libertà di comunicazione fornita dall’articolo 21.
Siamo pronti, allora, a sostenere che – senza alcuna modifica legislativa, senza alcun approfondimento culturale e senza alcuna pronuncia giuripsrudenziale – dalla sera alla mattina, per il solo motivo dell’emergenza sanitaria, il concetto di assemblea debba ora essere interpretato in senso “evolutivo” e quindi debba intendersi esteso alla comprensenza “virtuale” di più persone in videoconferenza?
Se ne potrebbe legittimamente dubitare.
D’altra parte è stato autorevolmente osservato – e questo è il secondo elemento – come il codice civile non fornisca alcuna indicazione sulle modalità di svolgimento dell’assemblea: da ciò si potrebbe quindi dedurre che un’assemlbea “da remoto” sia solo una modalità di svolgimento dell’assemlbea, ammessa nel silenzio della legge. A questa ricostruzione si può però obiettare replicando come sia il legislatore del 1942 sia il legislatore della riforma del 2012 avessero presente solo il plurimillenario concetto di assemlbea come compresenza fisica di persone nello stesso luogo. Quindi il legislatore non ha pensato di specificare che l’assemblea potesse essere tenuta solo mediante la compresenza fisica dei condomini per il semplice fatto che tale elemento era già insisto nel concetto stesso di “assemblea”. E quindi il problema non si poneva nemmeno.
Un terzo elemento è il parallelismo con la disciplina delle società.
Benché siano realtà economicamente molto distanti tra loro, spesso la giurisprudenza ha tratto spunto dalle soluzioni fornite dal diritto societario per colmare le lacune del diritto del condominio. In base a questo rilievo, taluni hanno ritenuto di poter tracciare anche in questo caso un parallelismo: siccome adesso sono ammesse le assemlbee di società in videoconferenza, allora sono ammesse anche le assemlbee di condominio in videoconferenza.
Anche questo elemento, quantunque suggestivo, non appare decisivo: si può infatti agevolmente replicare che le assemblee di società siano diventate ammissibili in videoconferenza, anche se ciò non è previsto dallo statuto, solo in forza di alcune norme di legge specifiche dettate durante l’emergenza. Dunque, si potrebbe concludere: se per il condominio il legislatore ha taciuto, allora significa che non vi è una generalizzata autorizzazione a svolgere le assemblee di condominio da remoto.
I dati che emergono sono quindi contraddittori:
il consiglio è quello di non svolgere assemlbee in videoconferenza prima che si sia formato un chiaro orientamento giurisprudenziale, perché i rischi sono troppo elevati. Rischi di nullità, in primo luogo, perché, se fosse riconosciuto che il concetto di assemblea implica ancora, in sé, la compresenza fisica dei partecipanti, un’assemblea da remoto sarebbe una “non assemblea”; ma anche rischi di annullabilità, nel caso un condomino ritenesse di eccepire di non avere gli strumenti tecnici, o le conoscenze informatiche, per collegarsi da remoto. O anche solo ritenesse di eccepire che il collegamento non fosse stato chiaro, o non fosse stato continuo.
E qui sta, ad avviso di chi scrive, il vero problema.
Infatti, se forse siamo culturalmente e sociologicamente pronti a ritenere che un’assemblea sia tale anche se svolta in videoconferenza, di certo le contestazioni sul suo svolgimento concreto (anche pretestuose, magari) da parte dei condomini sarebbero all’ordine del giorno e potrebbero portare al rischio di vedere (quantomeno) annullate le delibere assunte in videoconferenza in forza di un’eccezione, svolta da un solo condomino, di non essere in grado di partecipare per mancanza dei mezzi o incapacità informatica.
Per tacere della responsabilità del presidente in merito all’identificazione dei partecipanti (basta un volto su un video per riconoscere una persona da remoto?), che richiederebbe (quantomeno) la condivisione in videconferenza di documenti in corso di validità, nonché in merito alla sicurezza che tutti i condomini abbiano avuto contezza dell’intero dibattito prima di deliberare, nonché in merito alla certezza che tutti i condomini siano stati regolarmente convocati e abbiano avuto la possibilità tecnica di partecipare.
Forse più semplici potrebbero essere le assemlbee “miste” in cui, cioè, ogni condomino avesse la possibilità o di partecipare personalmente o da remoto. Così, però, da una parte non si risolverebbero i problemi di affollamento delle stanze in cui si svolgono le assemblee e, dall’altra parte, non si ridurrebbero i rischi di impugnazione del condomino che non fosse riuscito a connettersi da remoto dopo aver scelto tale modalità di partecipazione.
Ci può essere, però, una soluzione:
adottare un regolamento contrattuale (quindi, si ricorda, ad opera del costruttore o votato con mille millesimi) che preveda anche la videoconferenza come modalità di svolgimento dell’assemblea di condominio: in questo caso, ogni condomino avrebbe accettato l’onere di dotarsi della capacità tecnica e dei mezzi necessari per partecipare all’assemblea in videoconferenza. E ogni acquirente sarebbe parimenti vincolato allo stesso onere in forza o della trascrizione nei pubblici registri immoibliari della clausola in oggetto, o della sua specifica approvazione nel contratto di compravendita.
Avv. Silvio Boccalatte